Le nostre PMI possono contribuire alla sicurezza europea, alla luce del piano Readiness 2030, collaborando con grandi industrie e sfruttando le nuove opportunità.
Per effetto del “ciclone Trump” si è finalmente avviato, anche in Italia, un dibattito sulle priorità della nostra sicurezza nazionale che si incrociano con le sfide internazionali. C’è però un aspetto poco discusso: quello delle piccole e medie imprese che in Italia contribuiscono per il 63% al valore aggiunto e per il 76% all’occupazione (si veda l’articolo di Marta Casadei sul Sole 24 Ore del 10 giugno 2024).
Un intreccio di sicurezza e interessi nazionali
Tutto si intreccia: questioni che riguardano sicurezza internazionale ed interessi nazionali, industria della difesa, transizioni energetica e verde ed anche crisi di comparti come l’automobilistico, e infine la guerra dei dazi. Le discussioni diventano temi di politica interna e riguardano questioni essenziali: i Parlamenti europei saranno chiamati a importanti decisioni sui bilanci dello Stato. È l’applicazione del principio base in ogni democrazia rappresentativa: “no taxation without representation”. Il dibattito, in sintesi, verte sul classico dilemma “burro o cannoni” e dopo decenni in cui, almeno in Europa occidentale, la guerra sembrava distante dall’orizzonte psicologico dei cittadini si comprende che la sicurezza è un presupposto necessario (anche se non sufficiente) per il benessere economico e sociale. La deterrenza militare di uno Stato nei confronti delle minacce esterne è infatti un “bene pubblico” che corrisponde ad un bisogno al quale deve provvedere lo Stato.